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Latte senza tracce di antibiotici? L’azienda italiana che ha accettato la sfida

33mila morti l’anno in unione europea e 600mila casi registrati. I numeri dell’antibioticoresistenza, ossia della capacità dei batteri patogeni di superare indenni l’aggressione di medicinali creati dall’uomo per combatterli, sono difficili da ignorare. Gli ultimi sono quelli di un report congiunto dell’European centre for disease prevention and control (Ecdc) e dell’Ufficio regionale per l’Europa dell’Oms, un documento pubblicato il 26 gennaio scorso con i dati rilevati nel 2020.

Una minaccia globale contro la quale è difficile fare i conti, visto il largo impiego di antibiotici tanto nella salute umana che negli allevamenti e in tutt’e due i casi si tratta di un abuso spesso senza reali necessità o perché frutto di cure fai-da-te (in umana) o perché utilizzate in maniera preventiva per impedire che gli animali si ammalino come invece potrebbe accadere facilmente negli allevamenti intensivi. Un mare di farmaci che – come è oramai innegabile – finisce per selezionare generazioni di batteri in grado di non subirne le conseguenze e di conseguenza impossibili da combattere con le uniche armi che avremmo a disposizione.

Spesso poi gli antibiotici utilizzati in allevamento finiscono perfino nella nostra alimentazione come hanno dimostrato tanto i lavori del Salvagente sul latte vaccino che quello della Facoltà di Farmacia dell’Università Federico II di Napoli che ne ha mostrato la presenza nel latte per la prima infanzia. In entrambi i casi sono state misurate dosi bassissime ma degne di sollevare dubbi sulla pericolosità tanto per le conseguenze sul microbiota che per l’eventuale azione di antibioticoresistenza che questa presenza potrebbe causare.

Un tema tutto da approfondire che si unisce all’emergenza conclamata a livello mondiale sui superbatteri che qualcuno ha deciso di affrontare alla radice, ossia in allevamento. È la strada scelta quattro anni fa da Carlo Maino, titolare dell’azienda agricola McElan, una lunga esperienza come allevatore di bovini da latte. 700 bovine in stabulazione libera al pascolo, l’allevatore si è messo in testa di rinunciare interamente all’uso di antibiotici nei suoi allevamenti, in tutte le fasi della vita degli animali. E a quanto pare ci è riuscito, visto che dopo la fase di studio ha messo in commercio il suo latte Uht Free, un latte certificato da Certiquality come antibiotic free.

Nonostante il nome, l’azienda è italianissima, è a Sandrigo, provincia di Vicenza. E deve il suo nome alla scelta di Maino di usare le iniziali della moglie e dei figli (rigorosamente in maiuscole quelli della moglie Monica e della figlia Eleonora per sottolineare l’importanza delle donne e non solo nella sua vita).

“Da quattro anni uso solo prodotti naturali per curare gli animali – spiega al Salvagente Maino – e questo fa sì che nei prodotti delle mie bestie non se ne trovino neppure tracce infinitesimali per la semplice ragione che non vengono utilizzati in tutto il ciclo di vita dell’animale”.

Maino, ma come si regola, tanto per fare un esempio, nel caso che una delle sue bovine si ammali magari di mastite?

All’inizio somministravo ozono e olio di girasole, ma poi ho capito che questo non era sufficiente per ottenere risultati soddisfacenti. Per arrivare a questo obiettivo ho dovuto adottare molte più accortezze nella prevenzione, dalla disinfezione delle stalle alla mungitura, fino al parto. Un mix di buone pratiche che oggi mi consente di mettere sul mercato 10mila litri di latte al giorno antibiotic free.

Un pioniere del benessere animale, insomma.

Guardi, io ho vietato di usare per i miei allevamenti il termine benessere animale che oramai è diventato uno slogan di marketing, quasi privo di significato. Preferisco parlare di salute animale.

Al di là delle definizioni, ha senso dal suo punto di vista imprenditoriale un tale sforzo? Il mercato è in grado di ricompensarlo?

I miei costi di produzione sono praticamente quelli che avevo prima di fare questa scelta e il mio latte Uht è venduto a 2 euro al litro (il parzialmente scremato) e 2,10 euro l’intero. In linea con i prezzi di mercato per i prodotti prima infanzia, che è esattamente il mio pubblico di riferimento.

Dove viene venduto il suo latte?

Al momento in tre piattaforme ecommerce, due esterne: agricook, agrinetwork e una nostra, lattefree.eu.

Perché non nei supermercati?

Perché la grande distribuzione organizzata si è mostrata interessata ma vorrebbe averlo a prezzi stracciati. Pagare questo latte 3 o 4 centesimi in più del costo del latte in cisterna – come mi avevano proposto – è francamente irricevibile. In più io ho chiesto ai supermercati di posizionarlo nel reparto destinato alla prima infanzia, dato che è quello il pubblico di riferimento, o al più nelle parafarmacie dei supermercati, non in quello dei latticini. Non escludo che in futuro si potrebbe vedere sugli scaffali dei supermercati, sempre che venga pagato il giusto e valorizzato per quel che merita.

Facciamo per una volta la parte del diavolo: perché escludere totalmente gli antibiotici dal ciclo di vita degli animali quando le leggi ci sono e garantiscono che quelli trattati con farmaci debbano essere esclusi dalla produzione per un periodo più che sufficiente ad assicurare la salubrità dell’alimento?

Una delle dimostrazioni del perché questo sia necessario l’ha resa evidente proprio il vostro test del 2020. Sono state le vostre analisi a far capire come, nonostante le norme attuali, se una sostanza viene utilizzata in allevamento si finisca per trovarla anche nell’alimento, per quanto in piccole quantità.

Touché… Quali sono i suoi prossimi passi Maino?

Continuare a lavorare anche sulla sostenibilità del mio prodotto. Sto cercando di trovare confezioni in Mater-B sia nel tappo che attualmente è in plastica che nella confezione in modo che sia tutto riciclabile, impresa ardua ma non impossibile. Qualcosa si sta muovendo anche in Tetra-pack.

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